mercoledì 6 maggio 2015

il Mistero

La cosa che più siamo in grado di sperimentare è il Mistero.

E' questa l'emozione fondamentale alla base della vera arte e della vera scienza. Colui che non lo sa e non riesce più a sorprendersi, a stupirsi, è praticamente morto, una candela spenta. E' stata l'esperienza del Mistero - sebbene commisto alla paura - a generare la religione. La coscienza dell'esistenza di qualcosa che non possiamo penetrare, delle manifestazioni della ragione più profonda e della bellezza più radiosa, cui la nostra ragione può accedere solo nelle forme più elementari - sono queste coscienza ed emozione a costituire la vera attitudine religiosa.

Albert Einstein



Gli Oannes

Dalla religione mesopotamica, gli Egizi hanno derivato il simbolo del Pesce Sacro. L’Oannes babilonese è il Pesce/Salvatore. Nella religione indù è detto Matsya, un termine sanscrito da cui deriva Messia. Nei vangeli, l’Oannes viene personificato in Iohannes, Giovanni Battista, che versa sul capo di Gesù (immerso nelle acque basse della non-consapevolezza) le acque alte dell’Illuminazione. 

Il Battesimo ha questo significato.
 
Gesù è l’incarnazione di Dio come il Faraone è l’incarnazione di Osiride: in entrambi i casi, la storia viene legata al mito.

Daniele Luttazzi


Nell'arte greca, ma anche in quella induista e buddhista (in particolare nella scultura), sulle labbra degli dèi e degli eroi che hanno armonizzato in sé l'attimo fuggente e l'eternità, trascendendo il tempo storico, aleggia uno strano ed enigmatico sorriso; come quasi tutte le forme di riso e umorismo, il sorriso degli dèi nasce da uno "strabismo", dalla capacità di percepire simultaneamente la dissociazione che divarica l'essere dall'apparire e il sottile legame che li unisce. E' il sorriso di chi ha saputo integrare in sé il tempo storico e il tempo sacro, la maschera e il volto, la materialità e la spiritualità, l'uomo angelico e la bestia ctonia, il destino individuale - legato al cronos e alle istanze dell'Ego - e il destino della stirpe, condizionato dall'obbedienza a un ordine universale che rende l'individuo strumento di un disegno aionico stabilito ab origine.

Nei monumenti funerari dell'antica Grecia ritroviamo curiosamente lo stesso misterioso sorriso sui volti delle fanciulle (o kore) che rendono omaggio a Persefone, Dea del mondo sotteraneo.


Dioniso nei frammenti dello specchio - Alessandro Orlandi



martedì 5 maggio 2015

l'Amor Cortese e la Rosa Mistica

Le Crociate aprirono le menti dei nobili, dei poeti e dei musicisti al Principio Femminile.
Si sviluppò una forma di cavalleria che andava ben al di là della capacità di distruggere: si trattava di una nuova etica dell'Amore non fondato sul matrimonio legale. Per la prima volta nella storia, questo amore romantico e idealistico poneva la Donna Amata su un piedistallo, rappresentandola come un'entità virtuosa, pura, colta e ricca di saggezza femminile. Il cavaliere cui Lei donava il Suo affetto era il Campione capace di proteggerla dalle maldicenze degli altri. Tramite il suo Amore per Lei, il cavaliere cercava di sviluppare le più nobili virtù maschili. Questa nuova etica veniva lodata nelle poesie e nelle canzoni dei menestrelli di Francia, e messa in pratica da re Artù e dai suoi Cavalieri della Tavola Rotonda.
Il Culto della Vergine Maria fu un ampliamento di questa idealizzazione del Femminino come esempio di 'perfezione'. San Bernardo di Chiaravalle fu una figura chiave nell'adozione di questa immagine. Maria veniva lodata come madre perfetta, pura, concepita senza peccato e capace di concepire senza congiunzione carnale, vivendo il matrimonio senza mai consumarlo. Era nata una nuova forma della Dea, che però non doveva essere considerata uguale a Dio, ma solo una mediatrice tra l'uomo e il Divino.

Le statue di Maria rivelano la perdita dei poteri: le mani tenute in basso lungo i fianchi, mentre la Dea le teneva sollevate sopra la testa, azione eseguita dal prete durante la messa, sia quando procede alla consacrazione del pane e del vino, che quando dà la benedizione al termine della funzione. Un piede di Maria poggia sulla testa del serpente per simboleggiare il dominio sulla Sessualità: nella teologia giudeo-cristiana, il Serpente viene associato al Male. Ecco un esempio della trasformazione negativa di un'immagine religiosa che, da un Culto Antico, viene integrata nel Cristianesimo. Tuttavia quasi tutti i simboli di Maria adottati a quell'epoca come attributi di Nostra Signora erano positivi. Molti di questi simboli sono menzionati nella Litania a Nostra Signora: Rosa Mistica, Stella del Mare, Vaso d'Onore, ecc.
In questo periodo cominciarono ad apparire dipinti di Nostra Signora circondata da un alone di luce a forma di Kteis. Il Culto di Maria venne sviluppato a partire dalla simbologia di Iside, poiché sia Maria che Iside rappresentavano la faccia illuminata della Luna (esistono numerose immagini medievali di Maria ritta in piedi sulla Luna). I Rosoni circolari delle cattedrali medievali erano simboli della Divinità Femminile.

Il Culto della Vergine Maria era originariamente inteso a porre rimedio a uno squilibrio, ma finì per intensificare il crescente squilibrio tra la polarità maschile e quella femminile. Tutti i cicli naturali di nascita, di trasformazione e morte vennero sostituiti da un simbolo che era impossibile da emulare per le donne mortali. Dio era un padre patriarcale: gli uomini potevano imitare quell'immagine e diventare patriarchi, mentre le donne non potevano essere vergini e madri allo stesso tempo. Nella teologia cristiana, la Vergine Maria era l'Unica Donna Perfetta. L'aspetto più oscuro che porta all'acquisizione del Potere e della Sapienza venne rifiutato, e tutte le donne, per loro stessa natura, vennero considerate dalla teologia cristiana ufficiale come esseri impuri, peccaminosi e malvagi.

La Femmina Sacra - Maureen Concannon





domenica 3 maggio 2015

la Discesa agli Inferi

Descent to the Goddess: A Way of Initiation for Women è un libro guida per le donne contemporanee che osano scivolare sotto il limite del conscio per sperimentare gli abissi dell'energia femminile primaria. La storia di Inanna, che discende nell'Oltretomba dove deve confrontarsi con la Dea Oscura, morire e putrefare per tre giorni, potrebbe essere facilmente considerata una metafora del ciclo mestruale.

Si tratta del racconto epico mitico più antico che possediamo e indica civiltà mediorientali ancora più antiche governate dalle donne, come quella di Catal Huyuk

Quando sente la chiamata della Dea, Inanna discende di propria volontà per morire e rinascere e fare ritorno alla comunità con il potere di guaritrice, ma durante questo processo rinuncia a ogni brandello di identità. Nei racconti di epoca più tarda, l'eroe che entra nell'oltretomba vi si reca con la spada sguainata per uccidere la Dea Oscura e non cambiare mai.

Il Risveglio della Dea - Vicky Noble


sabato 2 maggio 2015

il Tocco della Dea

Cibele, il cui carro era trainato da leoni, era conosciuta anche quale Afrodite frigia del monte Ida, ed era venerata come Ape Regina

Anchise, dopo le nozze con  la “Dea della Vita e della Morte”, fu colpito da una folgore rituale. Anchise, secondo Robert Graves, era sinonimo di Adone e inoltre: “Anchise ci fa identificare Afrodite con Iside, moglie di Osiride”.

Afrodite, come Dea della Vita e della Morte, ebbe molti appellativi che paiono contrastare con la fama di Dea bella e compiacente e che sono consentanei con l’isola di Creta: Melenide (la Nera), Scotia ( l’Oscura).


...
 
Gli Dèi non ti aggiungono né tolgono nulla.
Solamente d’un tocco leggero t’inchiodano dove sei giunto.
Quel che prima era voglia, era scelta, ti si scopre destino.







i Mostri, la Belva, Il Bosco Sacro

Dunque, lo sai, e mi puoi credere. Io dormivo una sera sul Latmo - era notte - mi ero attardato nel vagabondare, e seduto dormivo, contro un tronco. Mi risvegliai sotto la luna - nel sogno ebbi un brivido al pensiero ch'ero là, nella radura - e la vidi. La vidi che mi guardava, con quegli occhi un poco obliqui, occhi fermi, trasparenti, grandi dentro. Io non lo seppi allora, non lo sapevo l'indomani, ma ero già cosa sua, preso nel cerchio dei suoi occhi, dello spazio che occupava, della radura, del monte. Mi salutò con un sorriso chiuso; io le dissi: «Signora»; e aggrottava le ciglia, come ragazza un po' selvatica, come avesse capito che mi stupivo, e quasi dentro sbigottivo, a chiamarla Signora. 
Sempre rimase poi fra noi quello sgomento.
O straniero, lei mi disse il mio nome e mi venne vicino - la tunica non le dava al ginocchio - e stendendo la mano mi toccò sui capelli. Mi toccò quasi esitando, e le venne un sorriso, un sorriso incredibile, mortale. Io fui per cadere prosternato - pensai tutti i suoi nomi - ma lei mi trattenne come si trattiene un bimbo, la mano sotto il mento. Sono grande e robusto, mi vedi, lei era fiera e non aveva che quegli occhi - una magra ragazza selvatica - ma fui come un bimbo. «Tu non dovrai svegliarti mai», mi disse. «Non dovrai fare un gesto. Verrò ancora a trovarti». E se ne andò per la radura.


Cesare Pavese - Dialoghi con Leucò. La Belva