venerdì 20 maggio 2016

V.I.T.R.I.O.L.

I due amanti si amarono davanti ai suoi occhi, per tutta la notte, mentre lei lottava col veleno.
Sapeva in ogni fibra della propria carne che se avesse lasciato che il veleno prevalesse sul sangue, il mondo avrebbe conosciuto una Regina Nera di odio e di tenebra e di vendetta. 
Eppure, anche se il suo corpo lottava per non morire, guidato da una sapienza innata, la Regina restava salda nella sua anima e nel suo spirito. Qualcosa in lei era ad un altro livello di consapevolezza, quella era la Morte che le toccava, per non doverne mai abbracciare altre.
Fu così che si lasciò morire a tutte le illusioni di un amore mortale e sensuale, e a quelle di un amore divino, e si apprestò a conoscere il segreto più oscuro e luminoso di tutti, quello che giace nel profondo del corpo nero della Terra.

VITRIOL

Debdeashakti


Oscura Dea Splendente

Ade la condusse per mano nella stanza nuziale, quella dove mai le aveva donato piacere. Piuttosto, lì l'aveva derubata dell'innocenza. Quanto efferato può essere l'amore di un Dio, tanto più quello di un Dio di Morte. La sua spietatezza può condurre una Dea alla gloria della Resurrezione, ma guardatevi, fanciulle mortali, dal conoscere il suo tocco, che non v'è rinascita per voi, piccole falene.
Mai Ade l'aveva baciata, riservandole sempre e soltanto il sapore duro delle sue fruste e delle sue lame. La Regina non capì fino all'ultimo quale sarebbe stato il dono di congedo del suo sposo, finché non ne ebbe davanti la visione, più crudele di tutte le ferite inferte alla sua carne, alle sue emozioni e alla sua mente.
Sul letto che credeva suo e su cui non aveva mai giaciuto, tenera fanciulla dalle illusioni bruciate, vi era una donna. Bella e seducente, la sfidava con occhi felini  Era tutto ciò che lei non era, e che non poteva essere. Col corpo integro e caldo, avvolgeva quello del suo sposo tra le sue spire, come fosse un piccolo fanciullo. Mai Ade le era apparso tanto inerme e abbandonato al piacere, così come adesso lo era tra le braccia di quella donna. Se riusciva a sostenere lo strazio di quella visione abbastanza a lungo, le pareva persino di scorgere in lui le sembianze di Dioniso, il Dio dell'ebbrezza folle e della gioia sfrenata. Povera piccola Regina, che ancora non era ciò che sarebbe presto diventata. Credete voi mortali che sia un gioco da fanciulle, diventare la Custode dei due Regni?
Fu solo un attimo, quello in cui i suoi occhi indugiarono sulle labbra voluttuose della donna rossa, come mordevano e prendevano possesso di quelle di Ade. Come lui rispondeva al bacio, senza sottrarsi, davanti ai suoi occhi. Fu un attimo soltanto, eppure le restituì il senso dell'eternità. 
Lo Scorpione, quell'immenso scorpione che le apparve davanti, oscurando la visione dei due complici amanti. Fu solo un attimo, e il suo aculeo le aveva trapassato il petto, da parte a parte. Il suo cuore ormai spaccato irrimediabilmente, mentre fiotti di veleno nero e denso come la pece si versavano nel suo sangue, senza pietà.
C'è un momento, in cui una Dea diventa pienamente consapevole del proprio potere ed è il momento in cui le viene spaccato il cuore, e nello stesso istante lei subisce la prova più grande. Chi potrà dire chi avrà la meglio, tra il veleno e il sangue?

Debdeashakti

La Regina delle Api

".. e insieme, saremo Liberi".

La Regina degli Inferi spiegò le sue ali nere, figlie delle profondità della Terra, e fece per abbandonare per sempre quel regno freddo e umido in cui era stata confinata. Povera illusa, si credeva ormai capace di scegliere da sé il proprio destino. Ma già altri avevano deciso per lei.
Il suo crudele sposo l'afferrò per i capelli e la ricacciò indietro. Per lo Scorpione c'è un unico nemico temibile e questi è l'Ape. Guidata dal Sole, quasi mai si contamina con le profondità delle Terra, sebbene conosca tutti i segreti più oscuri del Fuoco che la alimenta.
"Aspetta, mia Regina, non aver fretta d'andare. Non ti raggiungerò nei boschi, né mi nutrirò del tuo miele. E' questo il mio regno, l'unico che posso donarti come mia sposa. Il regno della luce è precluso per noi".
La Regina abbassò la testa a riflettere. Triste destino e insieme glorioso, quello dell'Ape. Eterna Vergine, non ha bisogno di un compagno per dirigere e creare. E solo il più meritevole dei suoi figli può fecondarla, dopo immane sforzo. Che fare? Accettare un fiero compagno in un regno senza luce oppure essere una Madre Vergine nel regno del Sole?
"Questo è ciò che farò, mio amato sposo. Affinché ciascuno dei regni abbia una sovrana capace di intendere i Misteri del buio e della luce e di mantenerne gli equilibri, ad ogni inverno e ad ogni notte dell'anima, io tornerò da te, che altrimenti resteresti qui solo in eterno. Non esistono altre Dee capaci di sostenere il tuo gelido tocco e non ne esistono capaci di dirigere il lavoro delle api. Io esisto per entrambi i mondi. Tornerò nel buio degli Inferi ogni volta che il sole si oscurerà e la luna resterà a effonderne il pallido riflesso. Tornerò a portarti quel calore che ignori, mio sposo oscuro. Io, unica tra le immortali, sarò la Dea della Vita e della Morte".

Ade la guardò soddisfatto, poi la prese per mano per condurla al talamo prima di lasciarla andare.

Debdeashakti

 

mercoledì 18 maggio 2016

Colei che regna sui Tre Mondi

Torre Eburnea, 
merlata di gloria,
ti ergi diritta a mostrare il Cammino.

Sorella di un albero, hai radici nella terra dei morti, dagli Inferi plumbei trai la materia grezza per la tua gestazione;
Sorella di un albero, hai tronco possente,  le intemperie del mondo ti hanno a lungo temprato, sfuggi alla folgore e alla tempesta piegandoti a baciare la terra, poi ti ergi di nuovo, dritta e lieta a ricevere il bacio del sole;
Sorella di un albero, hai rami nel cielo, capelli di un angelo, capaci di catturare le stelle e di portare quaggiù il loro canto lontano.

Dea dei tre mondi, Regina tra le Dee,
ogni regno ti viene donato affinché Tu lo governi in saggezza, ovunque Tu appari nella giusta forma.

Tenera fanciulla dalle gote di mela, un giorno fosti rapita laggiù dove la luce non ha accesso.
Ti sei disperata, lo so, come potevi fare altrimenti? A quel tempo non sapevi che la luce è bandita per nove mesi, e nessuna gestazione è possibile se prima, come il seme, non accetti di morire.

Fiera sovrana di oro vestita, oggi nutri il tuo popolo in abbondanza, la terra è il tuo dominio,  dirigi i lavori delle piccole operaie e intanto il mondo torna a vivere e prosperare, inondato di miele e della tua grazia, conservi il ricordo della spietatezza che ti fu inferta in un pungiglione ben nascosto, ché l'ape accorta quasi mai vi ricorre.

Lassù nei cieli e nelle stelle, ve n'è una, un tempo chiamata Lucifera, e che noi chiamiamo Venere. Anch'essa è il tuo regno, da cui ti esiliasti in un tempo lontano. Che onore c'è infatti a regnare nell'abbondanza, quando esistono pianeti che ancora conoscono il dolore e la mancanza? Promettesti di restare, finché ognuno dei fratelli della terra non avesse ricordato la divinità che lo abita, e da allora mantieni fede alla tua promessa.

O tu, Devi dei tre mondi, spandi Amore sulla Terra, che Tu sempre sia glorificata.

Debdeashakti







La Regina degli Inferi



Regina degli Inferi,
strappata dai seni di tua Madre,
credevi che la luce del Sole ti sarebbe stata in eterno preclusa.

Tu, tenera fanciulla con gote di melagrana, immemore del Potere antico della Dea Inanna, non volevi scendere negli Inferi plumbei e brutali, rifiutavi di incontrare la Bestia oscura che regna laggiù, ultimo confronto dell'eroe immortale. 

Vagavi tra le messi dorate, senza pensieri, non volevi sapere di quale oscurità necessita il seme per poter fruttare il grano, raccoglievi fiori e li intrecciavi in ghirlande arcobaleno, poi li donavi a tua madre e a tutti i mortali. Mirabile arte, quella delle tue mani, ma nulla in confronto alla Sapienza innata delle operose api, custodi di quel segreto antico per cui la torba diventa oro. Le tue ghirlande sfiorivano presto sul tuo bel capo innocente e inconsapevole.

Lontani i tempi in cui le fanciulle predestinate, come te, scendevano volontariamente nel ventre buio della Madre, pronte a fronteggiare il Demone di questo mondo. So che temevi di incontrare la tua gemella oscura, già Ishtar lo fece, e fu spogliata, e fu umiliata, e fu smembrata, e poi fu lasciata a marcire. Come importi tale volontà crudele, mia piccola fanciulla con gote di mela, se tu, da sola, non ne volevi sapere?

Poi arrivò lui, e ti rapì. Ti rubò la spensieratezza e l'innocenza, ti mostrò il proprio e il tuo Demone, e ti sembrarono orribili. Lo strazio delle tue lacrime di orrore raggiunse la terra ormai arida, poiché tua Madre più non potè creare, per l'angoscia di averti perduta. Gli Dèi in coro piansero per te, e per il tuo crudele apprendistato. Gli Abissi sono troppo terrificanti anche per coloro che abitano le vette incontaminate, solo tu, predestinata fanciulla tra gli Immortali, potevi avervi accesso.
Il tuo Ade era bello nella sua fierezza spietata, nulla ti ha risparmiato del dolore che ti era stato assegnato. Nessuno conosce la bellezza di diamante di un amore di ghiaccio, che preferisce vederti morta che debole e inconsapevole a intrecciare ghirlande destinate a sfiorire. Tu, la Torre, tu Colei che oggi regna sui tre Mondi, dovevi restare e imparare, ingoiando le lacrime a ogni passo, a ogni frustata che il tuo tenero corpo potè sopportare. Ricordi che invidiavi Arianna, sposa di un Dio di gioia e di ebbrezza, tu condannata alle tenebre di un amore che sa solo uccidere e mai godere? Avresti cambiato volentieri Ade con Dioniso, se solo ti fosse stato concesso. Ma tu eri predestinata, e ti toccò quello che le Moire stabilirono per te.

Quel giorno in cui, una tortura dopo l'altra, ti spogliasti del dolore del corpo, delle emozioni e della mente, tu sapesti di essere morta e poi rinata, Immortale e consapevole come nessun'altra donna e nessun'altra Dea mai potè essere. Fu allora, quando ormai saresti potuta restare a regnare sui morti, che decidesti di tornare alla luce del sole. Hai abbracciato il tuo sposo e gli hai detto: "Io torno alla luce, alle messi dorate e ai fiori di mia Madre, voglio diventare la Regina delle Api e non più solo quella dei Morti. Quando avrai voglia di sole e di miele, mio amato carnefice, raggiungimi nei boschi, indossa la pelle calda di Dioniso, e insieme noi saremo Liberi.

Debdeashakti





lunedì 16 maggio 2016

Ishtar

La Dea elamita che porta sul capo la tiara regale corrisponde a Ishtar, la Grande Dea babilonese, dispensatrice d'energia vitale. E' Lei che fa bere ai mortali il liquido vivificante, attinto alla sorgente contenuta nella pietra della soglia sacra, superata soltanto dagli Annunaki, spiriti delle profondità e giudici dei morti chiamati a rivivere.
Nella destra, questa divinità tiene l'anello che raffigura il circuito ininterrotto della Vita. Nulla muore, poiché nulla si arresta, e tutto gravita eternamente.
Ishtar non è una madre che si intenerisce sui suoi figli ed evita loro ogni pena: è una educatrice che ha come ideale generazioni temprate energicamente, valorose e capaci di sopportare le miserie della vita. E' guerriera, poiché la lotta è la legge dell'esistenza oggettiva. Per vivere, acconsentiamo a soffrire. Ishtar non ha forse subito tutte le torture, quando è discesa volontariamente agli Inferi, per meritare di risalire glorificata tra i vivi? L'anima non deve forse dare prova di sopportazione, prima di essere ammessa ad incarnarsi? 
Ishtar ci ama nella misura in cui le rendiamo onore: ella ama gli eroi, ma disprezza gli ignavi.

Oswald Wirth - i Tarocchi

 

lunedì 9 maggio 2016

L'Immaginazione

Quando la leggenda presenta l'umanità come decaduta da uno stato originale di illuminazione spontanea, sembra alludere alle luci dell'istinto di cui beneficiano gli animali. La natura si prende cura degli esseri che le obbediscono passivamente, e fa compiere loro, senza errori, gli atti comandati dal loro programma di vita.
Finché rimane docilmente obbediente ai suoi impulsi, l'animalità gode di privilegi che invece perde la creatura ambiziosa di dirigersi secondo il proprio giudizio. Vi è una rivolta contro l'ordine naturale primordiale quando la ragione, ancora debole, assume la direzione dell'individuo. Allora, la ragione turba la lucidità dell'istinto, e da ciò deriva lo stato di relativa decadenza della creatura imperfettamente ragionevole.
Ci è imposto un apprendistato faticoso, poiché la ragione si sviluppa soltanto a detrimento dell'istinto, che si oscura prima che in noi trionfi il pieno splendore intellettuale. Perciò, tra il regno dell'istinto e quella della pura ragione si stabilisce un periodo angoscioso. La transizione sarebbe terribile, senza una facoltà che non è né l'istinto né la ragione, ma che sembra piuttosto intermedia. Appare quando l'intelligenza si desta: la sua luce diverte prima di istruire. Le immagini che ci mostra sono incoerenti, ma affascinanti, e fanno nascere in noi le idee. 
Questa facoltà è l'Immaginazione.
Dobbiamo guardarci bene dal disdegnarla: fu tenuta in grande onore nei millenni anteriori alla civiltà greca. Noi le dobbiamo le conoscenze fondamentali dell'umanità, la concezione originale delle nostre religioni e delle nostre scienze, poiché i bagliori che portarono un germe di chiarezza nel cervello umano furono raccolti dall'Intuizione degli umili primitivi.
Uscendo dall'istintività, l'uomo non pensa certamente a porsi problemi filosofici: messo di fronte allo spettacolo della natura, subisce impressioni cui si abbandona senza ragionare. Le cose esercitano così sulla sua immaginazione un potere di suggestione incontrastato.
Ne deriva una straordinaria facoltà d'immaginare che ci sbalordisce quando l'osserviamo nei bambini o nei "soggetti" ricondotti alla mentalità infantile. Questa mentalità fu quella dell'umanità primitiva e resta ancora quella dei popoli non civilizzati.
Essa è caratterizzata dell'incapacità di farsi idee nette e precise. Il primitivo non pensa a parlare con proprietà: sogna. Ribelle ad ogni sforzo intelletturale, è ricettivo-passivo nei confronti di ciò che gli viene in mente: l'accetta e lo considera come vero.
Ciò è molto pericoloso. Abbandonata a se stessa, l'immaginazione si compiace di stravaganze; non sarebbe quindi giudizioso accettarla come arbitra delle nostre decisioni.
Tuttavia molti popoli, la cui civiltà ci stupisce, hanno ascoltato l'immaginazione, poiché consultavano gli oracoli e riverivano i collegi di indovini incaricati di interpretarli. All'origine dei primi gruppi sociali noi troviamo non già dei filosofi, ma degli umilissimi sacerdoti-stregoni, antenati di quelli attuali delle tribù selvagge. Poiché la fede istintiva era assoluta, l'autorità dei soggetti lucidi s'imponeva: diventarono del tutto naturalmente re-pontefici, come i primi sovrani storici dell'Egitto e della Mesopotamia. Essi esercitavano il loro potere in nome della divinità che manifestava la sua volontà attraverso la mediazione degli indovini. A giudicare dalla sua durata, questo regime non diede luogo ad abusi più di quello che gli succedette. I Celti non ebbero mai a lamentarsi dei loro druidi, e più di una monarchia laica fece rimpiangere il precedente governo teocratico.
E' verosimile che tutto andasse bene finché gli indovini furono sinceri e i popoli credenti. Quando gli uni e gli altri ebbero dei dubbi, tutto si guastò. La ragione si svegliò, sotto l'aspetto di astuzia: gli indovini si fecero complici dei potenti, a detrimento dei creduli. L'arte divinatoria andò perduta e cadde in un inevitabile discredito: come pratica ufficiale è morta. Tuttavia, Richelieu ricorreva ai lumi di un astrologo, e la divinazione privata non è mai stata tanto fiorente come ai nostri giorni.
Che sia un segno di decrepitezza dello spirito moderno? Stiamo ricadendo nell'infanzia, dopo aver giurato, nel XVIII secolo, di sacrificare tutti al culto della Ragione? Non è affatto così: noi progrediamo intellettualmente, poiché scopriamo che la Ragione ha come sorella l'Immaginazione.
Noi intendiamo continuare a ragionare, ma senza vietarci di coltivare le nostre facoltà immaginative.
Istruiti alla scuola dell'immaginazione, gli Antichi hanno indovinato cose che a noi sfuggono. Poiché non dovremmo cercare di ritrovare la loro Parola Perduta?
Se questa è la nostra ambizione, impariamo a divinare.
Come?
Istruendoci nelle regole dell'arte divinatoria, per metterle in pratica sperimentalmente.

La Luce Iniziatica nasce dallo sposalizio dell' Immaginazione con la Ragione.

Oswald Wirth - I Tarocchi

mercoledì 4 maggio 2016

Gli Amanti (VI)

Due Vie divergenti conducono al Magistero: una è secca e l'altra umida. La prima è razionale e la seconda sentimentale, poiché l'Oro filosofico si può ottenere con la coltivazione dell'intelligenza e con l'acquisizione di una scienza approfondita, o con la sincerità di un amore fiducioso che si abbandona a ciò che detta il cuore. Secondo le disposizioni innate dell'Operatore, egli affronta l'Opera come filosofo ansioso di realizzare l'ideale da lui concepito, o come mistico che aspira a conformarsi alle intenzioni divine. La Pietra Filosofale è appannaggio tanto del vero Saggio quanto del vero Santo.

Oswald Wirth - I Tarocchi alla luce della Filosofia Alchemica

Gli Amanti rappresentano un tempo di scelta e di fretta impetuosa verso quello che il cuore desidera. Ciò che è stato diviso vuole tornare insieme. Potrebbe essere il sé diviso a volersi riunire; o una nuova relazione. Il nucleo della questione sta nell'Unione; il desiderio dei poli opposti di stare insieme.

Vicky Noble&Jonathan Tenney - La pratica di Madrepace attraverso i Tarocchi e l'Astrologia