...il Poeta Alchimista canta il suo Amore per una Donna sconosciuta, oggetto di tutti i suoi pensieri e delle sue aspirazioni.
E' una Donna che è "Luce dell'Anima", al cui apparire il poeta si sente tremare e 'trasumanare'. come Dante alla vista di Beatrice. Pur di contemplare il Suo volto, è pronto a offrirle la sua vita stessa.
L'Amore per questa Donna attrae la mente tanto che questa non desidera altro che unirsi a Lei, è Lei che risveglia la nostalgia di un'altra esistenza ("lieto a morir per eternar l'Anima") e lo spinge a liberarsi dai legami per meritare "quelle delizie" che Lei solo sa concedere. E' Lei che ispira il poeta, suggerendogli quello che poi scriverà; ma a volte è tanto sottile e lieve che lui non afferra quanto gli comunica:
...Sei fuoco che purifichi
Quanto trovi d'impuro; e per il fragile
Mio senso, se tu voli, vai tant'agile
Che non ti sento quando mel chiarifichi.
E' evidente che si tratta di una Donna Simbolica, depositaria di ogni perfezione e virtù, topos letterario dei poeti del Dolce Stil Novo, che universalmente si identifica con la Divina Sapienza. molti infatti non intendono più l'Amore in quella forma pura e cortese che s'insegnava nelle Scuole d'Amore.
Ma il poeta l'amerà eternamente, tanto d'operare quella trasformazione di sé nell'oggetto amato, fonte d'infinita beatitudine.
Sei mia, sono tuo... Tu vivi in me medesimo.
Spesso il Palombara nelle sue rime cita Roma, "che vorrebbe portare al suo antico splendore". ma per lui la Tradizione Romana si è interrotta: dopo Morieno Roma, pur essendo "caput mundi", non ha generato altri veri Maestri.
è proprio il ricordo dell'Antica Tradizione che spinge il nobile romano a scrivere, a tramandarne il messaggio, accogliendo dopo secoli quel 'Ramo d'Oro' d'Enea che,come scrive negli Scherzi Ermetici, a lui porge la Lupa di Romolo e Remo.
attraverso il poeta, 'figlio di Roma', si riallaccia quindi il legame con Virgilio e la Tradizione italica, con Enea figlio di Venere (Roma Amor), il cui messaggio egli manda ai posteri. pervaso di questa responsabilità, esorta di fare bene attenzione a quanto cela nei suoi versi, poiché egli spalancherà al Saggio la chiusa porta dell'antro di Mercurio, affinché la Tradizione non muoia.
chi lo seguirà si accorgerà del tesoro inestimabile ch'egli, nelle sue carte, manda al 'Vero Filosofo' e vi troverà la Via per raggiungere la Regalità Iniziatica, l'antica Età dell'Oro di Saturno, il 'Ramo d'Oro' di Enea:
Confida in Dio fuggi la gente prava
Che ti prometto che non hebbe Roma
Imperio tal qual cela questa rima.
Anche nella canzone già citata, l'Autore alla sua N.N. diletta, ritorna la sua missione di restaurare l'Antico Culto della Terra Italica sotto la protezione di Venere:
Ben felice può dirsi hoggi l'Italia
Se di Romolo e Remo nel bel Tevere
Con fortunati accenti sa ricevere
La bella amata mia Venere Idalia.
Cristina di Svezia e il suo Cenacolo Alchemico - Anna Maria Partini
domenica 25 gennaio 2015
la Bugia
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giovedì 22 gennaio 2015
il Tempio nell'Uomo
La Conoscenza delle funzioni del corpo umano che gli egittologi accordano agli Antichi, non ha nulla in comune con quello che rivela il Tempio di Luxor. Basandosi sui soli dati della filologia attuale, la lettura dell'Insegnamento dell'Antico Egitto non è che un balbettio perché, come mostrano queste pagine, il pensiero degli Antichi è espresso da tutto un complesso di elementi che si trova fondato sul Mito, il cui senso non è mai stato compreso.
Si è detto che i Maestri d'Opera delle Cattedrali si esprimevano con la Pietra, ed è vero.
Ma chi ha pensato di dedicare tutta la propria attenzione anche alle misure, per trovarvi il Senso dei Numeri, oltre che alle raffigurazioni sulla base del Mito Faraonico? Chi, in questo spirito, ha cercato la Vera Lettura dei Segni Geroglifici?
Non si deve concludere, da un testo di apparenza primaria, che gli Antichi abbiano voluto dire ciò che comprendiamo: si deve cercare perché si esprimevano così.
Gli Antichi non hanno mai "volgarizzato niente"; non hanno dato al profano se non lo stretto insegnamento utile. la spiegazione, la filosofia, il Legame Segreto del Mito con le Scienze erano appannaggio di un piccolo numero di uomini istruiti.
Pitagora non ha atteso vent'anni prima di essere ammesso al Tempio? Non ha imposto, nel proprio Insegnamento, il Silenzio, sotto pena di morte? Questo Insegnamento quindi non era scritto.
Erodoto menziona spesso l'obbligo che aveva di tacere sui soggetti "sacri". Queste istruzioni quindi non erano state redatte. L'insegnamento druidico, d'altra parte, era privilegio di una Classe Sacerdotale, Custode delle Tradizioni Orali più segrete di una Razza.
Gli Antichi Greci non andavano ad istruirsi nei Santuari del Basso Egitto, il più vicino possibile alla Fonte? (...) Ippocrate ha attinto ampiamente dai documenti Faraonici, e questo verso il 450 a. C. ora, Ippocrate parlava di nervi, circuito sanguigno e ghiandole.
Si pretenderà che la Grecia ha saputo comprendere e rendere razionalmente chiaro, ciò che gli Antichi avevano "oscuramente presentito" o conosciuto empiricamente.
E' certo che i documenti greci giunti sino a noi sono rari, mentre i documenti e i testi egizi danno le prove inviolate dei loro concetti e dei loro modi di espressione. Ciò che ci è stato trasmesso per via indiretta, è questa 'mentalità analitica' così opposta ai procedimenti degli Antichi Egizi, e che fu certamente esclusa dai Misteri greci; mentalità razionale, "meccanica", colpevole di averci condotti al disastro che persino i più ciechi preavvertono oggi.
In conclusione, l'Insegnamento Faraonico ci mostra l'Uomo composto di Tre esseri: il Sessuale, il Corporale e lo Spirituale, ognuno ha il proprio corpo e i propri organi, questi Tre esseri sono interdipendenti, per mezzo del flusso dei succhi e dell'influsso nervoso; il midollo è la Colonna di Fuoco che lega il tutto.
il Tempio nell'Uomo - R. A. Schwaller de Lubicz
Si è detto che i Maestri d'Opera delle Cattedrali si esprimevano con la Pietra, ed è vero.
Ma chi ha pensato di dedicare tutta la propria attenzione anche alle misure, per trovarvi il Senso dei Numeri, oltre che alle raffigurazioni sulla base del Mito Faraonico? Chi, in questo spirito, ha cercato la Vera Lettura dei Segni Geroglifici?
Non si deve concludere, da un testo di apparenza primaria, che gli Antichi abbiano voluto dire ciò che comprendiamo: si deve cercare perché si esprimevano così.
Gli Antichi non hanno mai "volgarizzato niente"; non hanno dato al profano se non lo stretto insegnamento utile. la spiegazione, la filosofia, il Legame Segreto del Mito con le Scienze erano appannaggio di un piccolo numero di uomini istruiti.
Pitagora non ha atteso vent'anni prima di essere ammesso al Tempio? Non ha imposto, nel proprio Insegnamento, il Silenzio, sotto pena di morte? Questo Insegnamento quindi non era scritto.
Erodoto menziona spesso l'obbligo che aveva di tacere sui soggetti "sacri". Queste istruzioni quindi non erano state redatte. L'insegnamento druidico, d'altra parte, era privilegio di una Classe Sacerdotale, Custode delle Tradizioni Orali più segrete di una Razza.
Gli Antichi Greci non andavano ad istruirsi nei Santuari del Basso Egitto, il più vicino possibile alla Fonte? (...) Ippocrate ha attinto ampiamente dai documenti Faraonici, e questo verso il 450 a. C. ora, Ippocrate parlava di nervi, circuito sanguigno e ghiandole.
Si pretenderà che la Grecia ha saputo comprendere e rendere razionalmente chiaro, ciò che gli Antichi avevano "oscuramente presentito" o conosciuto empiricamente.
E' certo che i documenti greci giunti sino a noi sono rari, mentre i documenti e i testi egizi danno le prove inviolate dei loro concetti e dei loro modi di espressione. Ciò che ci è stato trasmesso per via indiretta, è questa 'mentalità analitica' così opposta ai procedimenti degli Antichi Egizi, e che fu certamente esclusa dai Misteri greci; mentalità razionale, "meccanica", colpevole di averci condotti al disastro che persino i più ciechi preavvertono oggi.
In conclusione, l'Insegnamento Faraonico ci mostra l'Uomo composto di Tre esseri: il Sessuale, il Corporale e lo Spirituale, ognuno ha il proprio corpo e i propri organi, questi Tre esseri sono interdipendenti, per mezzo del flusso dei succhi e dell'influsso nervoso; il midollo è la Colonna di Fuoco che lega il tutto.
il Tempio nell'Uomo - R. A. Schwaller de Lubicz
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Hatshepsut
Il caso della "Donna faraone" nasconde il più sconvolgente Mistero dell'antichità. É una favolosa storia d'Amore da cui tutto ha avuto origine.
Hatshepsut si innamorò di Senenmut quando, ancora ragazza, lui la salvò dalle acque del Nilo. Non appena Lei divenne Faraone, lo portò con sé come architetto di corte e lo fece nominare Gran Sacerdote. La loro relazione clandestina fu osteggiata dai dignitari, che già non vedevano di buon occhio una donna al potere.
Senenmut progettò per Lei una tomba grandiosa vicino a Luxor, e per sé una tomba segreta collegata a quella dell'amata con un tunnel sotterraneo che li avrebbe uniti per sempre. Per vendicarsi dell'odio subito dalla casta sacerdotale, decise di svelare il Segreto da loro custodito con cura: disegnò sul soffitto di quella tomba la chiave del Grande Mistero delle origini della Civiltà Egizia, e lo coprì con dell'intonaco, come un messaggio in bottiglia per i posteri.
La Donna Faraone - Roberto Giacobbo
Barca Bùsiride, figlio di Cartagine, assetato di transculturalismo e
alla ricerca delle origini della sua civiltà, s'imbarca per una crociera
sul Nilo, nella terra di Hatshepsut, la Donna Faraone d'Egitto,
che ha sventato le congiure degli uomini e li ha governati. E non
perdonano a Lei - donna sensuale e non sottomessa - di aver abolito le
frontiere dei sessi e di navigare nella virilità dell'uomo.
Barca adora Hatshepsut "perché ha creato i valori della civiltà occidentale, ben prima dei Greci e dei Romani che si considerano i primi inventori dell'umanesimo" e apprezza la sua diplomazia, il suo senso di giustizia e di libertà. Che ne è di quella fiorente civiltà dell'Egitto - Om ed-dimyà, la Madre dell'Universo - dei suoi successi scientifici, della saggezza della sua fede? Ora è una terra ricca di contraddizioni e scossa dalla violenza e dal fanatismo religioso.
la Donna Faraone - Hédi Bouraoui
Figlia di Thutmosi I, alla morte del padre la principessa Hatshepsut rappresentava l'unica garanzia per la monarchia. Sposata al fratellastro Thutmosi II e successivamente tutrice del giovane fratellastro-nipote Thutmosi III, Hatshepsut riuscì a sfidare la tradizione e a installarsi saldamente sul trono divino dei faraoni. A partire da quel momento divenne la personificazione femminile del più alto ruolo maschile, rappresentata, unica nella storia, sia come donna sia come uomo, dotata addirittura della barba finta tradizionalmente esibita dai Faraoni.
la Regina misteriosa. la storia di Hatshepsut, l'unica Donna che regnò come Faraone - Christiane Desroches Noblecourt
Hatshepsut si innamorò di Senenmut quando, ancora ragazza, lui la salvò dalle acque del Nilo. Non appena Lei divenne Faraone, lo portò con sé come architetto di corte e lo fece nominare Gran Sacerdote. La loro relazione clandestina fu osteggiata dai dignitari, che già non vedevano di buon occhio una donna al potere.
Senenmut progettò per Lei una tomba grandiosa vicino a Luxor, e per sé una tomba segreta collegata a quella dell'amata con un tunnel sotterraneo che li avrebbe uniti per sempre. Per vendicarsi dell'odio subito dalla casta sacerdotale, decise di svelare il Segreto da loro custodito con cura: disegnò sul soffitto di quella tomba la chiave del Grande Mistero delle origini della Civiltà Egizia, e lo coprì con dell'intonaco, come un messaggio in bottiglia per i posteri.
La Donna Faraone - Roberto Giacobbo
Barca adora Hatshepsut "perché ha creato i valori della civiltà occidentale, ben prima dei Greci e dei Romani che si considerano i primi inventori dell'umanesimo" e apprezza la sua diplomazia, il suo senso di giustizia e di libertà. Che ne è di quella fiorente civiltà dell'Egitto - Om ed-dimyà, la Madre dell'Universo - dei suoi successi scientifici, della saggezza della sua fede? Ora è una terra ricca di contraddizioni e scossa dalla violenza e dal fanatismo religioso.
la Donna Faraone - Hédi Bouraoui
Figlia di Thutmosi I, alla morte del padre la principessa Hatshepsut rappresentava l'unica garanzia per la monarchia. Sposata al fratellastro Thutmosi II e successivamente tutrice del giovane fratellastro-nipote Thutmosi III, Hatshepsut riuscì a sfidare la tradizione e a installarsi saldamente sul trono divino dei faraoni. A partire da quel momento divenne la personificazione femminile del più alto ruolo maschile, rappresentata, unica nella storia, sia come donna sia come uomo, dotata addirittura della barba finta tradizionalmente esibita dai Faraoni.
la Regina misteriosa. la storia di Hatshepsut, l'unica Donna che regnò come Faraone - Christiane Desroches Noblecourt
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martedì 20 gennaio 2015
le Testimoni della Tradizione
In questa lettera il Kircher, dopo aver elogiato la Regina per le sue doti e la sua saggezza, scrive che " con il favore di tanta Maestà" porterà presto a termine il suo libro: "poiché vedo dedicarti con mente ben disposta allo studio dell'Antica Scienza dei Simboli Egizi, propria dei soli Re e senza la cui perfetta conoscenza a nessuno veniva concesso un tempo di adire al Trono Reale, sarà mio dovere il portare a compimento, con la guida del Divino Nume e il favore di contanta Maestà, quanto pensai si potesse fare in questo genere di studi arcani".
Qui il dotto gesuita si riferisce certamente alla sua opera 'Oedipus Aegyptiacus'. Da questa lettera si potrebbe arguire un certo interesse della Regina per la Tradizione Egizia.
(...)
Probabilmente Cristina fu anche attratta dalla personalità di Cleopatra che, come scrive Borsellino, poteva rappresentare "ai suoi occhi una figura femminile degna di essere presa a modello", per il suo spirito d'indipendenza e per la sua libertà d'azione.
Ambedue Regine e abili nel governo del proprio paese, ambedue dotate di grande coraggio e intelligenza. Cleopatra dopo aver combattuto fino alla morte per difendere il suo Regno, si darà la morte per non cadere in mano del nemico; Cristina, dopo la sua vittoria sulla Danimarca e la pace di Westfalia, abbandonerà un Regno che l'amava per la sua vocazione alla libertà e per seguire i suoi interessi culturali e religiosi.
Ambedue Eroine della storia, l'una ha avuto in mano il destino di due Potenti Tradizioni, di due potenti popoli, Roma e l'Egitto, in uno dei momenti più critici e delicati della storia del Mediterraneo; per poco non si rischiò, come scrive Buchan, "una supremazia dell'Oriente e un trasferimento del potere dalle rive del Tevere alle rive del Nilo"; l'altra, al massimo del suo potere, conosciuta da tutta Europa per la sua cultura e per le sue vittorie militari, abbandona tutto per realizzare con libertà d'azione le sue scelte. Mentre Cleopatra fu affascinata dalla grandezza di Roma, ma rimase sempre legata alla sua terra, Cristina scelse Roma come sua seconda patria.
(...)
Infine, come a Cleopatra si attribuisce un testo alchemico famoso, 'la Crisopea di Cleopatra' (III sec. d. C.), in cui per la prima volta si parla (secondo gli storici di Alchimia) dell'Uroboros e del tema dell'Unione Nuziale, Cristina ha lasciato nel suo archivio a Stoccolma scritti autografi e ricette di famosi alchimisti.
Donne dotate di fascino e abituate al comando, la cui sensibilità femminile s'inchina, si esprime nel grande Amore di Cleopatra per Marcantonio e di Cristina per Azzolino, ma la cui fine fu molto diversa.
Cleopatra, quando vide crollare il suo sogno di un Impero Egizio-Romano, si dà la morte; Cristina, abbandonando un regno terreno per un Regno più grande, è ancora viva e ammirata ancora oggi.
Cristina di Svezia e il suo Cenacolo Alchemico - Anna Maria Partini
Qui il dotto gesuita si riferisce certamente alla sua opera 'Oedipus Aegyptiacus'. Da questa lettera si potrebbe arguire un certo interesse della Regina per la Tradizione Egizia.
(...)
Probabilmente Cristina fu anche attratta dalla personalità di Cleopatra che, come scrive Borsellino, poteva rappresentare "ai suoi occhi una figura femminile degna di essere presa a modello", per il suo spirito d'indipendenza e per la sua libertà d'azione.
Ambedue Regine e abili nel governo del proprio paese, ambedue dotate di grande coraggio e intelligenza. Cleopatra dopo aver combattuto fino alla morte per difendere il suo Regno, si darà la morte per non cadere in mano del nemico; Cristina, dopo la sua vittoria sulla Danimarca e la pace di Westfalia, abbandonerà un Regno che l'amava per la sua vocazione alla libertà e per seguire i suoi interessi culturali e religiosi.
Ambedue Eroine della storia, l'una ha avuto in mano il destino di due Potenti Tradizioni, di due potenti popoli, Roma e l'Egitto, in uno dei momenti più critici e delicati della storia del Mediterraneo; per poco non si rischiò, come scrive Buchan, "una supremazia dell'Oriente e un trasferimento del potere dalle rive del Tevere alle rive del Nilo"; l'altra, al massimo del suo potere, conosciuta da tutta Europa per la sua cultura e per le sue vittorie militari, abbandona tutto per realizzare con libertà d'azione le sue scelte. Mentre Cleopatra fu affascinata dalla grandezza di Roma, ma rimase sempre legata alla sua terra, Cristina scelse Roma come sua seconda patria.
(...)
Infine, come a Cleopatra si attribuisce un testo alchemico famoso, 'la Crisopea di Cleopatra' (III sec. d. C.), in cui per la prima volta si parla (secondo gli storici di Alchimia) dell'Uroboros e del tema dell'Unione Nuziale, Cristina ha lasciato nel suo archivio a Stoccolma scritti autografi e ricette di famosi alchimisti.
Donne dotate di fascino e abituate al comando, la cui sensibilità femminile s'inchina, si esprime nel grande Amore di Cleopatra per Marcantonio e di Cristina per Azzolino, ma la cui fine fu molto diversa.
Cleopatra, quando vide crollare il suo sogno di un Impero Egizio-Romano, si dà la morte; Cristina, abbandonando un regno terreno per un Regno più grande, è ancora viva e ammirata ancora oggi.
Cristina di Svezia e il suo Cenacolo Alchemico - Anna Maria Partini
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la Regina di Roma e d'Amor
Cristina aveva anche per modello gli umanisti del Rinascimento, come Nicolò e Pico della Mirandola. Il suo problema era quello di conoscere il ruolo dell'uomo nei confronti della Divinità e quali fossero i limiti della conoscenza umana. era spinta, nel suo continuo indagare, dal voler conciliare la filosofia e la scienza con la religione, l'intelletto e la fede, gli slanci mistici del Cuore con la razionalità della mente; di capire, cioè, attraverso l'intelletto, le ragioni della Fede (Fides quaerens intellectum). Il suo atteggiamento non era quello di una passiva accettazione, ma di una conquista interiore attraverso il 'dubitare'. interessante è quanto scrive in proposito; "non si deve credere nulla se non dopo aver osato dubitare... credere a tutto è debolezza, credere a nulla è follia".
(...)
"Io non credevo nella religione in cui fui nutrita. tutto quello che mi insegnavano mi sembrava poco degno di Voi... odiavo mortalmente i lunghi e frequenti discorsi dei luterani, ma capivo che dovevo lasciarli dire e aver pazienza e che non dovevo manifestare quello che ne pensavo. divenuta più grande, mi formai una specie di religione a modo mio, attendendo quella che Voi mi avete ispirato, per la quale avevo già naturalmente una così grande inclinazione. Voi sapete quante volte, con un linguaggio sconosciuto alla maggior parte degli uomini, Vi ho chiesto la grazia di essere illuminata da Voi... e che io feci voto di obbedirVi al prezzo della mia sorte e della mia vita".
E' quel Fuoco d'Amore che la spinse fin da giovanissima a fondare l'Ordine dell'Amaranto, le cui 'fiamme immortali' sono quelle del Cuore della Regina e il cui emblema erano le due A intrecciate, simbolo di un Amore che va oltre la morte.
Cristina di Svezia e il suo Cenacolo Alchemico - Anna Maria Partini
(...)
"Io non credevo nella religione in cui fui nutrita. tutto quello che mi insegnavano mi sembrava poco degno di Voi... odiavo mortalmente i lunghi e frequenti discorsi dei luterani, ma capivo che dovevo lasciarli dire e aver pazienza e che non dovevo manifestare quello che ne pensavo. divenuta più grande, mi formai una specie di religione a modo mio, attendendo quella che Voi mi avete ispirato, per la quale avevo già naturalmente una così grande inclinazione. Voi sapete quante volte, con un linguaggio sconosciuto alla maggior parte degli uomini, Vi ho chiesto la grazia di essere illuminata da Voi... e che io feci voto di obbedirVi al prezzo della mia sorte e della mia vita".
E' quel Fuoco d'Amore che la spinse fin da giovanissima a fondare l'Ordine dell'Amaranto, le cui 'fiamme immortali' sono quelle del Cuore della Regina e il cui emblema erano le due A intrecciate, simbolo di un Amore che va oltre la morte.
Cristina di Svezia e il suo Cenacolo Alchemico - Anna Maria Partini
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sabato 17 gennaio 2015
l'Ape Regina
L’Ape è stata Simbolo di Regalità sin dai tempi degli Egizi e come tale
veniva utilizzata associata ai Faraoni, soprattutto collegata alla
sovranità sul Basso Egitto. Sempre per gli Egizi essa rappresentava la Divinità in quanto nata dalle lacrime di Ra. Nel corso della storia ha
anche rappresentato lo stesso Gesù, o per meglio dire il Cristo, in
quanto Emblema della Risurrezione a causa della sua sparizione durante i
mesi invernali ed il ritorno in primavera. Furono poi proprio i Merovingi a reintrodurre il Simbolo dell’Ape in quanto Sigillo Regale prima ancora del fiore di loto. (...) Va inoltre considerato il valore Alchemico dell’Ape determinato dalla
sua capacità di trasformare la materia, il nettare in miele, che può
essere associato al processo di Iniziazione della Massoneria tramite il
quale il novizio, la pietra grezza, viene lavorato sino a diventare una pietra perfetta.
tratto da: http://www.simonebarcelli.org/2010/04/la-cappella-di-rosslyn-rivela-un-nuovo-segreto-legato-alla-simbologia-dell-ape/
L'Ape, come Simbolo Regale di Sopravvivenza e di Resurrezione, è stata ricordata in leggende, in odi e nei testi sacri da tutti i popoli dell'antichità, perché le si accordavano dei doni divini, dei poteri sorprendenti e misteriosi. L’Ape è simbolo di fertilità, di nutrimento, di laboriosità ed efficienza, ma rappresenta anche la difesa intrepida della proprietà, della casa e quindi della famiglia. Svelare il Segreto dell'Alveare è come cercare di svelare il Mistero Femminile, penetrarne il significato, riuscire a sublimare principalmente nella sua "Regina", nell' immagine della penetrazione e fecondazione, l' importanza stessa della vita. I Celti le consideravano Messaggere degli Dei, portatrici della Conoscenza dell’Altromondo, ciò faceva del Miele un alimento sacro e pregiato, ingrediente fondamentale delle bevande rituali come l’idromele, e si riteneva fosse uno dei componenti della pozione che bolliva nel Calderone della Dea Madre, l’Awen.
Secondo la leggenda, "Api" erano chiamate le Sacerdotesse di Demetra (Dea delle messi) che nei Riti Eleusini esprimevano con un brusio di richiamo la loro raffinata istintualità. Le Api, o Melisse, sono Sacre anche alla Dea Brighid, che si dice avesse un meleto nel Mondo ultraterreno ove volavano le api per ottenere un nettare magico. La capacità dell’ape di trasformare il polline in miele si può accomunare al lento Lavoro Iniziatico. Al frutto del suo lavoro è attribuito un grande valore esoterico, per via del miele che serve alla preparazione dell’Ambrosia, bevanda Sacra presso i Celti, i Germani e i Greci, o della cera, per la composizione dei ceri, oggetti rituali e sacri. E' Emblema dell’Eterna Rinascita e del rinnovarsi della natura a causa della sua sparizione nei mesi invernali e del ritorno in primavera. Nell’antico Egitto l’Ape, paragonata all’Anima, riportava in vita il defunto qualora entrasse dalla sua bocca. Per gli Egizi la sua appartenenza divina era dovuta alla sua nascita dalle lacrime di Ra. La statua dell’Artemide (Diana) di Efeso mostra la Dea circondata da diversi animali tra cui le Api, per esprimere la ricchezza della natura, infatti anche le Sacerdotesse caste di Artemide venivano chiamate Melisse, o Api. Anche le Amazzoni spesso si definivano tali. Il ronzio incessante delle Api è spesso associato all'innalzamento dell'Energia che conduce all'estasi del Nirvana e una persona che giace in una fossa piena d'Api spesso rappresentava l'Illuminazione. Le Api sono Sacre anche a Buddha, spesso rappresentato ricoperto da questi insetti.
tratto da: http://spaziosacroaltaredibrigida.blogspot.it/2013/03/lape.html
Il fatto che anche il nome della Profetessa ebraica Deborah in ebraico significasse "Ape" suggerisce che l'associazione tra questo titolo e le Sacerdotesse oracolari era molto antica nell'area del Mediterraneo.
Marguerite Rigoglioso
tratto da: http://www.simonebarcelli.org/2010/04/la-cappella-di-rosslyn-rivela-un-nuovo-segreto-legato-alla-simbologia-dell-ape/
L'Ape, come Simbolo Regale di Sopravvivenza e di Resurrezione, è stata ricordata in leggende, in odi e nei testi sacri da tutti i popoli dell'antichità, perché le si accordavano dei doni divini, dei poteri sorprendenti e misteriosi. L’Ape è simbolo di fertilità, di nutrimento, di laboriosità ed efficienza, ma rappresenta anche la difesa intrepida della proprietà, della casa e quindi della famiglia. Svelare il Segreto dell'Alveare è come cercare di svelare il Mistero Femminile, penetrarne il significato, riuscire a sublimare principalmente nella sua "Regina", nell' immagine della penetrazione e fecondazione, l' importanza stessa della vita. I Celti le consideravano Messaggere degli Dei, portatrici della Conoscenza dell’Altromondo, ciò faceva del Miele un alimento sacro e pregiato, ingrediente fondamentale delle bevande rituali come l’idromele, e si riteneva fosse uno dei componenti della pozione che bolliva nel Calderone della Dea Madre, l’Awen.
Secondo la leggenda, "Api" erano chiamate le Sacerdotesse di Demetra (Dea delle messi) che nei Riti Eleusini esprimevano con un brusio di richiamo la loro raffinata istintualità. Le Api, o Melisse, sono Sacre anche alla Dea Brighid, che si dice avesse un meleto nel Mondo ultraterreno ove volavano le api per ottenere un nettare magico. La capacità dell’ape di trasformare il polline in miele si può accomunare al lento Lavoro Iniziatico. Al frutto del suo lavoro è attribuito un grande valore esoterico, per via del miele che serve alla preparazione dell’Ambrosia, bevanda Sacra presso i Celti, i Germani e i Greci, o della cera, per la composizione dei ceri, oggetti rituali e sacri. E' Emblema dell’Eterna Rinascita e del rinnovarsi della natura a causa della sua sparizione nei mesi invernali e del ritorno in primavera. Nell’antico Egitto l’Ape, paragonata all’Anima, riportava in vita il defunto qualora entrasse dalla sua bocca. Per gli Egizi la sua appartenenza divina era dovuta alla sua nascita dalle lacrime di Ra. La statua dell’Artemide (Diana) di Efeso mostra la Dea circondata da diversi animali tra cui le Api, per esprimere la ricchezza della natura, infatti anche le Sacerdotesse caste di Artemide venivano chiamate Melisse, o Api. Anche le Amazzoni spesso si definivano tali. Il ronzio incessante delle Api è spesso associato all'innalzamento dell'Energia che conduce all'estasi del Nirvana e una persona che giace in una fossa piena d'Api spesso rappresentava l'Illuminazione. Le Api sono Sacre anche a Buddha, spesso rappresentato ricoperto da questi insetti.
tratto da: http://spaziosacroaltaredibrigida.blogspot.it/2013/03/lape.html
Il fatto che anche il nome della Profetessa ebraica Deborah in ebraico significasse "Ape" suggerisce che l'associazione tra questo titolo e le Sacerdotesse oracolari era molto antica nell'area del Mediterraneo.
Marguerite Rigoglioso
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venerdì 16 gennaio 2015
il Simbolismo di Janus-Jana
E' stato pubblicato, qualche anno fa, da Charbonneau-Lassay su "Regnabit", un curioso documento che raffigura esplicitamente Cristo sotto le sembianze di Giano (...).
E' un cartiglio dipinto su una pagina staccata da un libro manoscritto di chiesa del secolo XV trovata a Luchon che conclude il foglietto del mese di gennaio sul calendario liminare di questo libro.
In cima al medaglione interno figura il Monogramma IHS sormontato da un Cuore; il rimanente del medaglione è occupato da un busto di Janus Bifrons, con un viso Maschile e uno Femminile, come si vede assai frequentemente; esso porta una Corona sulla testa, e tiene con una mano uno Scettro e con l'altra una Chiave.
"Sui monumenti Romani", scriveva Charbonneau-Lassay riproducendo questo documento, "Giano si mostra, come sul cartiglio di Luchon, con la Corona in testa e lo Scettro nella Mano Destra, perché è Re; tiene con l'altra mano una Chiave che apre e chiude le epoche; per questo, per estensione di concetto, i Romani gli consacravano le porte delle case e delle città... anche Cristo, come l'antico Giano, porta lo Scettro Regale con cui ha diritto in nome del Padre Celeste e dei suoi Antenati di quaggiù; e con l'altra Mano tiene la Chiave dei Segreti Eterni, la Chiave tinta del suo sangue che apre all'umanità perduta la Porta della Vita. (...)
L'interpretazione più comune dei Due Volti di Giano vede in essi la rappresentazione rispettivamente del passato e del futuro; questa interpretazione, pur essendo molto incompleta, da un certo punto di vista è comunque esatta. Per questo, in un numero abbastanza grande di rappresentazioni, i due volti sono quelli di un uomo anziano e di un uomo giovane; non è però il caso dell'Emblema di Luchon, un esame attento del quale non permette di dubitare che si tratti del Giano Androgino, o Janus-Jana, ed è quasi superfluo far notare lo stretto rapporto di questa forma di Giano con certi Simboli Ermetici come il Rebis.
Considerando il Simbolismo di Giano come riferito al tempo, è il caso di fare un'osservazione molto importante: fra il Passato che non è più e il Futuro che non è ancora, il Vero Volto di Giano, quello che guarda il Presente, non è, si dice, né l'uno né l'altro di quelli visibili. Questo Terzo Volto, infatti, è invisibile perché il Presente, nella manifestazione temporale, non è che un istante inafferrabile; ma, quando ci si innalza al di sopra delle condizioni di questa manifestazione transitoria e contingente, il Presente contiene al contrario Ogni Realtà. Il Terzo Volto di Giano corrisponde, in un altro simbolismo, quello della Tradizione Indù, all'Occhio frontale di Shiva, anch'esso invisibile, poiché non è rappresentato da nessun organo corporeo, e che raffigura il "Senso dell'Eternità". E' detto che uno sguardo di questo Terzo Occhio riduce tutto in cenere, cioè distrugge ogni manifestazione; ma quando la successione è tramutata in simultaneità, tutte le cose rimangono nell'Eterno Presente, di modo che l'apparente distruzione non è in verità che una 'trasformazione', nel senso più rigorosamente etimologico della parola..
Da queste poche considerazioni è già facile capire che Giano rappresenta veramente Colui che è, non soltanto il 'Signore del Triplice Tempo' (designazione applicata nella dottrina indù pure a Shiva), ma anche e soprattutto il 'Signore dell'Eternità'.
Simboli della Scienza Sacra - René Guénon
E' un cartiglio dipinto su una pagina staccata da un libro manoscritto di chiesa del secolo XV trovata a Luchon che conclude il foglietto del mese di gennaio sul calendario liminare di questo libro.
In cima al medaglione interno figura il Monogramma IHS sormontato da un Cuore; il rimanente del medaglione è occupato da un busto di Janus Bifrons, con un viso Maschile e uno Femminile, come si vede assai frequentemente; esso porta una Corona sulla testa, e tiene con una mano uno Scettro e con l'altra una Chiave.
"Sui monumenti Romani", scriveva Charbonneau-Lassay riproducendo questo documento, "Giano si mostra, come sul cartiglio di Luchon, con la Corona in testa e lo Scettro nella Mano Destra, perché è Re; tiene con l'altra mano una Chiave che apre e chiude le epoche; per questo, per estensione di concetto, i Romani gli consacravano le porte delle case e delle città... anche Cristo, come l'antico Giano, porta lo Scettro Regale con cui ha diritto in nome del Padre Celeste e dei suoi Antenati di quaggiù; e con l'altra Mano tiene la Chiave dei Segreti Eterni, la Chiave tinta del suo sangue che apre all'umanità perduta la Porta della Vita. (...)
L'interpretazione più comune dei Due Volti di Giano vede in essi la rappresentazione rispettivamente del passato e del futuro; questa interpretazione, pur essendo molto incompleta, da un certo punto di vista è comunque esatta. Per questo, in un numero abbastanza grande di rappresentazioni, i due volti sono quelli di un uomo anziano e di un uomo giovane; non è però il caso dell'Emblema di Luchon, un esame attento del quale non permette di dubitare che si tratti del Giano Androgino, o Janus-Jana, ed è quasi superfluo far notare lo stretto rapporto di questa forma di Giano con certi Simboli Ermetici come il Rebis.
Considerando il Simbolismo di Giano come riferito al tempo, è il caso di fare un'osservazione molto importante: fra il Passato che non è più e il Futuro che non è ancora, il Vero Volto di Giano, quello che guarda il Presente, non è, si dice, né l'uno né l'altro di quelli visibili. Questo Terzo Volto, infatti, è invisibile perché il Presente, nella manifestazione temporale, non è che un istante inafferrabile; ma, quando ci si innalza al di sopra delle condizioni di questa manifestazione transitoria e contingente, il Presente contiene al contrario Ogni Realtà. Il Terzo Volto di Giano corrisponde, in un altro simbolismo, quello della Tradizione Indù, all'Occhio frontale di Shiva, anch'esso invisibile, poiché non è rappresentato da nessun organo corporeo, e che raffigura il "Senso dell'Eternità". E' detto che uno sguardo di questo Terzo Occhio riduce tutto in cenere, cioè distrugge ogni manifestazione; ma quando la successione è tramutata in simultaneità, tutte le cose rimangono nell'Eterno Presente, di modo che l'apparente distruzione non è in verità che una 'trasformazione', nel senso più rigorosamente etimologico della parola..
Da queste poche considerazioni è già facile capire che Giano rappresenta veramente Colui che è, non soltanto il 'Signore del Triplice Tempo' (designazione applicata nella dottrina indù pure a Shiva), ma anche e soprattutto il 'Signore dell'Eternità'.
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